La "Grande Reggio" di Genoese Zerbi
di Italo Falcomatà
di Italo Falcomatà
La "Grande Reggio" di Genoese Zerbi
Il primo ottobre del 1926, quando era ancora commissario prefettizio, Genoese Zerbi si circondò di un gruppo di studiosi e di politici cui commissionò uno studio sul!' aggregazioùe dei comuni contermini alla città di Reggio. Era, questa, un'idea che lo aveva affascinato particolarmente in anni molto lontani, antecedenti addirittura al terremoto. (1)
In verità, il progetto di allargare i confini del comune della Fata Morgana apparteneva alla cultura del reggino medio, che mal sopportava le strettoie naturali imposte dai torrenti Annunziata e Sant' Agata, che, da Nord e da Sud, ne segnavano i confini con i loro letti larghi, scavalcati dai soli ponti della ferrovia.
Negli anni Venti, il provvedimento auspicato era diventato improcrastinabile in quanto, dopo il terremoto, si era enormemente squilibrato il rapporto territorio-popolazione.
Nell'arco di poco più di un decennio, Reggio aveva visto raddoppiare la sua popolazione. Nel 1923, aveva registrato circa 70.000 abitanti, con un aumento di 10.000 nati ogni cinque anni. Nella statistica demografica nazionale, dal 1911 in poi, il suo quoziente di natalità aveva oscillato dal 46,96 al 44,90; quello di Napoli si era fem1ato al 26,26 e quello di Palermo al 30,70. (2)
Dal 1911 al 1924, per diverse volte Reggio aveva mantenuto il primato che la faceva la città più prolifica ciel mondo intero. Tra quanti segnalarono questo dato come elemento di squilibrio sociale, di fronte a cui non c'erano rimedi immediatamente efficaci al di là dell'espansione territoriale, fu l'on. Michele Barbaro. Questi, in un pamphlet, aveva dimostrato che la città non aveva la possibilità cli sfruttare al meglio le proprie risorse in quanto il suo indice demografico tendeva a disegnare una realtà da conflitto sociale. (3)
Per dare una recente sistemazione alle ottomila famiglie (circa 48.000 persone) che ancora vivevano pigiate in 8.000 baracche di 16 mq. cìascuna, incredibilmente degradate, occorrevano ben J .700.000 mq. cli superficie edificabile e altrettanti per la definizione di un piano regolatore che prevedesse le necessità di quell'anomalo sviluppo demografico. C'era, quindi, nella linea politica della classe reggina un antico proposito di espansione tenitoriale che il sisma e i relativi problemi della ricostruzione, resero facilmente raggiungibile. La possibilità di non incontrare molti ostacoli, in altri tempi insormontabili, era offerta anche dai fatto che se i governi prefascisti e fascisti avevano rallentato i ritmi della rinascita di Reggio manovrando i tempi della concessione dei mutui, per quanto riguarda invece i comuni contermini di Pellaro, Gallina, Podargoni, Gallico, Sambatello, Cataforio, Mosorrofa, Catona, Safice e Rosalì, si può tranquillamente affermare che essa non era stata nemmeno avviata. (4)
Né essi avevano registrato alcun incremento demografico; per cui il loro rap-porto tra popolazione e territorio si era attestato su livelli di vantaggio per la prima, che nel terremoto aveva raggiunto perdite percentuali più alte che altrove. (5)
L'obiettivo a lungo cullato e mai tentato per via delle difficoltà insite nel clima democratico che difficilmente avrebbe permesso un provvedimento liquidatorio di consessi elettivi e di realtà amministrative, economiche e culturali di antichissima formazione, diventava adesso, cambiato il contesto politico nazionale, a portata di mano. Alle favorevoli condizioni generali, si aggiungeva il ricatto politico che veniva esercitato su Roma dalla classe dirigente del capoluogo che, sul problema della ricostruzione della città, continuava a misurare il suo rapporto col governo e alla cui soluzione aveva perfino condizionato la sua stessa adesione al fascismo. Questa tentata contrapposizione dava alla più popolosa città della Calabria una specificità politica che la distingueva dalle consorelle e rischiava di farle assumere i connotati della defezione dal contesto regionale, della insubordinazione alle nuove autorità, dell'autonomia morale rispetto al potere centrale in nome di un alto spirito civico, che la rendeva impermeabile ad ogni solidarietà ideologica. (6)
A fronte della città protestataria e infida, le cui clamorose, recenti manifesta zioni antigovernative e antifasciste (quelle del 31 dicembre 1924 e del giugno 1925) bruciavano ancora l'orgoglio della Federazione reggina, il P.N .F. si divideva tra quanti aspiravano ad un comportamento romano intimidatorio e punitivo e quanti, invece, suggerivano una linea tradizionale, cloroformizzante, già sperimentata dai governi prefascisti, che concepiva l'intervento "concreto" del governo come un inevitabile prezzo da pagare alla ripresa di quel dialogo tra fascismo e città, che si era interrotto negli ultimi mesi del 1924. (7)
Un contenzioso di tal genere e di tale portata si svolgeva nel totale silenzio dei piccoli comuni contermini. Qui la vita, ciel tutto priva di esigenze moderne, aveva ripreso il corso di sempre. La manodopera braccianti le non a ve va mo! ti problemi occupazionali poichè ancora non erano stati colmati i vuoti che aveva aperto nelle sue file, dopo l'emigrazione e il terremoto, la Grande Guerra. Nel contempo aveva ripreso a pulsare il lavoro femminile nelle filande o nella cura dei bozzoli a domicilio, indotto dalle stesse.
Le classi dirigenti non consideravano la loro popolazione fruitrice dei beni dello spirito né bisognosa d'igiene e di istruzione; pertanto, non esercitavano nessuna pressione sul governo né si premuravano cli utilizzare, attraverso l'assistenza della locale prefettura, i finanziamenti concessi dalle leggi per la costruzione dei pubblici edifici dei paesi terremotati. Questa colpevole inerzia, come vedremo, sarà intelligentemente sfruttata da Genoese Zerbi, il podestà ispiratore della Grande Reggio, e gli consentirà di dare a sé stesso e ai fascisti reggini il crisma della modernità: l'immagine cioè di una classe dirigente proiettata verso un'idea cli progresso sociale, che allungava lo sguardo, cosa inedita a Reggio e ciel tutto rivoluzionaria per la borghesia urbana, al di là delle mura per coinvolgere, nella sua volontà di nuovo, l'indolente rassegnazione che aveva caratterizzato la storia civile degli undici comuni contermini, alla cui guida c'erano da sempre uomini del ceto possidente, passatista e classista.
Giuseppe Genoese Zerbi armonizzò, nella sua proposta di aggregazione, diverse voci .e diversi interessi. La città che, per motivi suoi propri, conquista lo spazio del vicino debole e povero, come rozzamente volevano alcuni, lasciando i suoi indicatori di civiltà fermi ai numeri bassi, non occupa nella sua elaborazione il posto centrale. Acquistano evidenza e drammaticità, invece, le condizioni di migliaia di persone il cui destino cli miseria, di ignoranza e di arretratezza sarebbe rimasto immutabile se fosse stato, ancora nell'Italia fascista, pur in tempi nuovi e titanici, affidato ad una classe dirigente inetta e i.iresponsabile. Con molta sagacia il podestà di Reggio puntò le sue carte su un dato che era insieme sociale e politico: il residuo di un passato medievale, che l'Italia dell'ipocrisia elettoralistica giolittiana aveva conservato, solo oggi poteva essere smascherato e cancellato. Mantenerlo in vita era un danno per la città cli Reggio, che, risorta dopo tante inerzie governative, aspirava a superare la fase pura e semplice della realizzazione ciel suo moderno piano regolatore per tendere a quella del suo ii lancio manifatturiero, industriale e commerciale che la ponesse di fronte all'altra riva dello Stretto, di fronte a Messina, vera e propria metropoli al suo confronto, come città non più "mancipia", ma autonoma.
A sostegno delle sue tesi, Genoese Zerbi obbligò il governo nazionale e la Federazione fascista a riflettere sugli elementi che balzavano da un serio esame dei bilanci dei comuni contermini: insufficienza finanziaria e conseguente inadeguatezza dei servizi; suolo ricco e floridissimo cli prodotti cui non corrispondevano né le entrate tributarie né uno sviluppo industriale e commerciale compatibile; misere annualità per ammortamento mutui a testimonianza di una politica di lavori pubblici quasi inesistente verso la formazione cli nuovi posti cli lavoro e verso il decoro urbanistico. (8)
Poichè la vita dei comuni contermini si svolgeva al cli fuori dello spirito nuovo che aveva pervaso l'anima italiana ed essi, anziché essere organi periferici della grande azione statale, insistevano nel voler essere centri cli gare, di fazioni e di personalismi, più che strumenti propulsori di sviluppo sociale ed economico, non bisognava avere le remore democratiche che avevano trascinato nell'immobilismo l'Italia prefascista.
"I Comuni attigui alla città di Reggio, e particolarmente quelli che hanno il privilegio di adagiarsi in riva al mare, in posizioni incantevoli, hanno nel loro territorio, nello spirito organizzativo dei propri abitanti, nella tendenza agli scambi, al traffico e al!' organizzazione industriale, gli elementi basilari per conseguire il più promettente sviluppo sociale: vivono, invece, una vita povera, magra, quasi rurale, con amministrazioni improntate a carattere di stasi, di sinecure, lontane da quel vasto movimento di rinnovazione e di progresso che è la particolare caratteristica del popolo italiano in questa era nuova.
Questi piccoli Comuni, stringenti e soffocanti il grande centro, sono essi stessi racchiusi entro ristrettissime delimitazioni, e vivono l'uno contro l'altro, l'uno invidioso del!' altro, in una gara di inutili e dannosi personalismi. Perché la causa principale che conserva nel!' immobilità detti piccoli centri è, indubbiame!lte, dovuta al fatto che la classe dirigente - quella che, per posizione economica, maggiormente dovrebbe contribuire alle pubbliche spese - al fine di limitare le giuste contribuziolli, ha creato la stasi, lo specchio stagnante, /' immobilità nella vita sociale, non provvedendo alla necessaria organizzazione dei servizi pubblici e alle complesse esigenze di un' ammillistrazione moderna". (9)
Questi comuni dalla vita "grama" e "quasi rurale" vivevano oltretutto di assistenza: i loro bilanci erano in deficit cronico e lo Stato era costretto a ripianarli con contributi annui di non lieve entità. Poiché non c'era alcuna possibilità di miglioramento economico, i contributi statali erano destinati a durare sino al 1950, l'anno in cui sarebbero venute meno le provvidenze del fondo consolidato delle addizionali.
Un vicolo cieco, dunque, dal quale si doveva uscire. L'intervento statale si rivelava "inutile" perché non era finalizzato al superamento di una condizione arretrata, e "illegale" in quanto utilizzava il fondo consolidato che, per legge, doveva servire a finanziare non le spese ordinarie, ma quelle ec..,ezionali per le opere pubbliche, per l'edilizia, l'igiene e la scuola.
I contributi erogati dallo Stato ai comuni contermini per coprire il loro disavanzo ammontavano a mezzo milione di lire l'anno: una cifra enorme. Si pensi che, in sedici anni, cioè dal 1909 al 1925, lo Stato aveva finanziato la ricostruzione di Reggio e Messina con la somma di 350 milioni. (10)
A fronte cli questa situazione senza via d'uscita, stava la città di Reggio. Una città, cioè, che si estendeva, secondo l'Istituto Geografico Militare, su 7.751 ettari di terreno e arrivava al mare a forma d'imbuto con una linea costiera cli poco più di 10 km. Su questo mare si affacciavano altri comuni che, con le loro insenature e il porto di Villa da dove si esportavano merci agricole, legname, essenze e prodotti manifatturieri, e si importavano grano, caffè, droghe, sale, tessuti, minerali, metalli, le impedivano cli esercitare ur. ruolo egemonico sulla riva sinistra dello Stretto.
Pertanto, mentre Messina svolgeva, attraverso i suoi centri abitati distribuiti su una riviera cli 28 km., un 'intensa e coordinata attività di sviluppo, il comune di Reggio si affacciava soltanto su una piccolissima parte dello Stretto. Mentre la piccola costa risultava inadeguata all'espansione delle sue attività marittimo-commerciali, del tutto inutilizzabile era il territorio interno, pur molto vasto. Esso, infatti, si estendeva quasi per intero nella zona montagnosa, cli natura rocciosa cli difficile accesso e non poteva ospitare né una zona industriale né favorire lo sviluppo dell'edilizia civile.
A causa di questa situazione, il territorio della città sino alle colline più vicine era quasi totalmente coperto da abitazioni e capannoni in cui si svolgevano le attività legate al traffico marittimo. E non poteva essere altrimenti, se si considera che le norme antisismiche vietavano lo sviluppo in altezza dei nuovi fabbricati. L'area edificabile della nuova città doveva, quindi, essere molto più estesa di quella di prima del terremoto. Sempre crescente era, inoltre, la richiesta di suoli edificabili da parte cli proprietari residenti ancora nei comuni contermini e della provincia, i quali, favoriti dalla legge sulla trasportabilità del diritto al muruo, si volevano trasferire nel capoluogo attratti da una qualità della vita che, con tutti i suoi limiti, si faceva preferire a quella del luogo natio. (11)
Così, a fronte cli una città vivace, che aveva il primato nello sviluppo demografico, che tendeva ad estendersi "naturalmente" lungo la riva del mare dove più facile erano le comunicazioni e più agevole il commercio, sorgevano gli "insormontabili" confini dei comuni contennini, i quali, indifferenti ad "ogni movimento ascensionale cli vita sociale", compromettevano definitivamente quelle iniziative industriali, che recenti provvedimenti governativi sembravano volere incoraggiare anche a Reggio Calabria. (12)
Quest'ultima considerazione era il secondo cavallo di battaglia di Genoese Zerbi. L'ampliamento della base produttiva della città rappresentava un canto di sirena cui difficilmente la gente sarebbe rimasta insensibile, data l'assenza d interventi privati nel settore e l'angoscia che già serpeggiava tra i lavoratori, che vedevano avvicinarsi inesorabilmente il completamento del programma di ricostruzione e con esso la disoccupazione. Scriveva in merito il prefetto della provincia, dottor Francesco Benigni:
" ... Oggi, l'attuale febbrile movimento di ricostruzione edilizia, tutta l'attività di lavoro e di commercio di questa popolazione è intimamente connessa e diretta ali' industria edilizia. Domani, allorché il piano di sbaraccamento e di ricostruzione della città sarà attuato, quando le ricostruzioni dei privali non avranno più l'aiuto e il soccorso dei contributi statali, l'industria edilizia dovrà, è ovvio prevederlo, cessare.
È quindi di assoluta necessità e urgenza predisporre fin cl' ora quel programma che, avendo per base l'ampliamento territoriale del Comune, miri ad avviare tutte le attività di lavoro, commerciali e industriali, che lo stesso ampliamento del territorio potrà promuovere e sviluppare". (13)
Consigliavano l'attuazione del!' ampliamento dei confini anche moti vi legati al bilancio comunale cli Reggio Calabria, la cui situazione finanziaria non era maistata florida. Sino al 1907, essa era stata sottoposta dal governo a tutela straordinaria sino all'assestamento delle passività.
Lo sviluppo della città tra il 1900 e il 1908 risulta, infatti, ben modesto se lo si rapporta a quello degli altri capoluoghi della stessa classe o se si fa un'analisi comparata dell'aumento e dell'ampliamento dei suoi servizi. La voce più cospicua delle entrate era rappresentata dal "dazio", che raggiungeva nel 1908 la cifra cli 645.152 lire, mentre quella dci proventi patrimoniali superava di poco le 66.000 lire e quella delle imposte e tasse raggiungeva appena le 90.000 lire.
Su un bilancio cli oltre un milione e centotrenta mila lire, l'uscita per "ammortamento mutui", contratti con la Cassa Depositi e Prestiti per l'esecuzione di opere pubbliche, era appena di 94.064 lire, la spesa per l'istruzione era di 92.000 lire e per la manutenzione stradale cli 23.000 lire.
Per avere un'idea più precisa della modestia finanziaria del comune di Reggio, si pensi che nel 1903 il "dazio" portava nelle sue casse 606.284 lire, che le spese d'investimento attraverso la Cassa DD e PP comportavano un ammortamento mutui di 110. l 06 lire, che quelle per l'illuminazione erano cli 66.229 lire e per l'istruzione cli 60.633 lire. (14)
Dopo il terremoto, cambiata completamente la fisionomia della città per via delle leggi antisismiche che ne avevano allungato il centro abitato e le reti stradale, fognaria, idrica e dell'illuminazione che lo servivano, mutò anche proporzionalmente il bisogno di servizi e di personale adeguato. Dalla protezione contro gli incendi al cui pericolo erano continuamente sottoposti i baraccamenti, gli uffici e le scuole, alla vuotatura delle fosse igieniche, all'estensione del servizio di polizia urbana, alla maggior cura posta nell'assistenza sanitaria, nella manutenzione degli impianti d'illuminazione e nel servizio di spazzamento e di raccolta dei rifiuti era venuto un aggravio tale al bilancio comunale da costringere il governo a ripianarne il disavanzo, prelevando dal fondo consolidato delle addizionali un contributo annuo integrativo di 3.091.247 lire. (15)
La popolazione contribuiva, al di là delle proprie possibilità, a sostenere le esigenze del comune. Esaminando i tributi patrimoniali e fiscali acquisiti al bilancio preventivo per l'esercizio ciel I 926, si desume che le tariffe applicate raggiungevano il tetto massimo consentito dalle leggi vigenti. Il consumo della acqua veniva pagato dai reggini in ragione di una lira a metro cubo: come dire che a Reggio l'acqua costava più che in qualunque altra città italiana. Ciò comportava un uso domestico molto parsimonioso con una ricaduta negativa sull'igiene personale. Anche per il comune di Reggio, dunque, la situazione finanziaria era cronicamente compromessa.
Da una parte, venuta meno la materia imponibile spazzata via dal terremoto (i fabbricati) e la possibilità di tassare, secondo legge, ogni altra manifestazione di ricchezza, erano diminuite le entrate; dall'altra, si utilizzava una somma moltoelevata di denaro stataie per ripianare i! passivo del bilancio mentre, per legge, la stessa avrebbe dovuto essere concessa per finanziare programmi cli sviluppo.
L'ampliamento dei confini, nelle intenzioni di Genoese Zerbi, sarebbe servito, inoltre, a ricucire il grande "strappo" con la classe politica nazionale che era stata unanime, in tempi sentiti ancora vicini, nell'infliggere ali' animo popolare una ferita che non si era ancora rimarginata, quando aveva deciso di costruire il porto a Villa San Giovanni. Essa, infatti, pur sapendo che avrebbe sottratto all'economia cittadina una fonte non esigua di lavoro e di guadagno, non si era minimamente preoccupata di sostituirla con una alternativa. Una scelta, quella, che aveva impedito alla città capoluogo di imporre la sua presenza economica e politica su tutta la costa e aveva, per converso, acuito il senso di solitudine, di emarginazione, di distacco che è sempre stato un elemento non secondario del carattere del popolo di Reggio.
Genoese Zerbi, il cui padre era stato per tanti anni sindaco della città, conosceva bene questo rancore della classe e dei lavoratori reggini e non si peritò di segnalare a Mussolini l'importanza politica cli questa soluzione. Essa avrebbe giovato molto al fascismo locale nella non facile opera di organizzazione del consenso politico al regime e lo avrebbe imposto agli occhi dei reggini come il primo vero e grande benefattore della città.
Con una prosa tacitiana, che in verità non gli era insolita, scrisse a Mussolini: "Il terremoto, con tutte le sue conseguenze, ha posto in maggior luce il soffocamento di questa città, che per effetto del/' impoverimento del suo territorio, per le creazioni di piccoli centri, era stata anche allontanata dal centro del movimento della vita, pur essendo una città continentale nello Stretto; allontanamento che aveva avuto una inevitabile ripercussione nel movimento demografico, nello sviluppo sociale e nel!' assestamento economico e finanziario. Le sue sofferenze erano evidenti nelle preoccupazioni di tutti gli abitanti, i quali sentirono come se la loro città fosse stata allontanata dalla madre Patria, quando un utilissimo e necessario transito di viaggiatori, allontantato da Reggio,fu stabilito nel territorio di uno degli altri Comuni, quello di Villa San Giovanni. Parve allora che anche il suo porto, costruito con la volontà e con gli sforzi dei suoi cittadini e dello Stato, dovesse un giorno anche essere riconosciuto inutile". (16)
Lo studio degli elementi fondamentali su cui imperniare la proposta di ampliamento e la ricerca deila prova, che la rendesse inattaccabiie a quanti avrebbero prevedibilmente manovrato per far fallire l'operazione, durò poco più di tre mesi. "Dal primo ottobre - dirà Genoese Zcrbi con legittimo orgoglio i1l popolo delirante - cominciò lo studio di questa nostra grande idea". (17)
Il frutto del lungo studio venne condensalo in una relazione di cinque paragrafi. Il parere favorevole del prefetto seguì tempi, modalità e canaii riservati onde evitare cli coinvolgere il funzionario nelle prevedibili polemiche che sarebbero scoppiate e per proteggerlo da eventuali pressioni provenienti eia qualche deputato della provincia, all'uopo sollecitato dai gruppi resistenti.
Genoese Zerbi inviò la sua relazione alla segreteria di Mussolini, quale ministro degli interni, il 7 gennaio 1927. Essa, con andamento problematico, poneva al Duce cinque quesiti e li sviluppava orientandoli in senso favorevole alla tesi dell'accorpamento. Così com'è, Reggio può diventare una città civile e moderna?
Può avere un futuro o è destinata, pur ricostruita interamente, ad essere una città elemosinante contributi statali perché oggettivamente impossibilìtata a provvedere a se stessa? È vantaggioso per la nuova Italia avere sullo Stretto una grande città sulla sponda siciliana ed una piccola su quella continentale, soffocata cla 65.000 abitanti e impedita nel suo sviluppo naturale per mantenere in vita numerosi piccoli comuni contermini ciel tutto privi cli servizi, poveri d1 popolazione, con bilanci risicati, noti soltanto per essere stati, quando c'erano le lotte elettorali, centri di gare, di fazioni e di personalismi, di potere familiare: cose del tutto inutiii oggiche il fascismo ha decretato la nuova magistratura podestarile?
La formazione di una grande città, invece, avrebbe determinato numerosi vantaggi sia ai reggini che ai cittadini dei comuni contermini, le cui risorse, organizzate da un'amministrazione comunale "preparata ed agguerrita'', avrebbero dato frutti sinora mai colti. Una vasta zona dello Stretto, tradizionalmente povera,sarebbe stata attraversata da una corrente di sviluppo industriale e commerciale che avrebbe prodotto un benessere economico tale da costituire la base di una nuova materia imponibile.
Da questa si sarebbero potute prelevare le risorse per finanziare nuovi servizi e soddisfare nuovi bisogni. Ciò avrebbe determinato una vera e propria rivoluzione nelle abitudini e nei costumi delle popolazioni dei comuni contermini ancora lontani "dal gran movimento di rinnovazione". La formazione di una grande città, con la unificazione dei piani regolatori e l'uniformità dell'imposizione tributaria con l'applicazione di una "congrua" sovrimposta, avrebbe permesso agli amministratori di godere di una più larga autonomia programmatica e, nel contempo, avrebbe giovato allo Stato in quanto, risanato nell'arco di pochi anni il bilancio, esso sarebbe stato sollevato dall'obbligo di doverne integrare il passivo. Un passivo ormai fisso da tempo, che si aggirava sui quattro milioni l'anno.(18)
Nel 1926, il podestà di Reggio aveva sfruttato tutte le nuove disposizioni tributarie. Per fare fronte a necessità, ritenute indilazionabili, aveva previsto in bilancio maggiori entrate proprie del comune per oltre un milione e mezzo. Anche il prefetto aveva informato il governo della pressione fiscale ciel comune e precisato che "l'entrata per dazio consumo raggiunge il suo sviluppo massimo di circa quattro milioni e l'acqua potabile viene ceduta ai cittadini ad una lira al metro cubo". (19)
Il dottor Benigni fece derivare il suo parere favorevole dal dettato dcl Regio Decreto del 30 dicembre 1923, che stabiliva le condizioni che rendevano necessario l'ampliamento cli un comune con l'aggregazione di quelli contermini. Secondo lui, la speciale situazione territoriale di Reggio, insufficie.ntc se rapportata all'impianto, all'incremento o al miglioramento dei servizi pubblici, e d'impedimento a qualunque sviluppo economico del comune stesso, avrebbe cletenninato nel corso di pochi anni la morte per consunzione di quelle piccole attività di trasformazione agro-industriale in esso presenti.
"Si può dire che oggi il movimento economico di questa laboriosa popolazione, i suoi traffici, i suoi commerci, le sue industrie siano costretti a perire o a congestionarsi entro il limite territoriale sud, che può essere rappresentato dalla Stazione ferroviaria centrale, ed il limite nord che può essere rappresentato dal porto nelle condizioni esistenti". (20)
Le condizioni "esistenti" del porto cli Reggio ostacolavano ogni tentativo volto alla formazione di un asse attrezzato, adatto alla razionale concentrazione di quelle attività industriali e commerciali che, per la loro particolare natura, avevano in un porto "ospitale" la precondizione ai loro stesso impianto. Questa zona industriale, che avrebbe dovuto ospitare certi stabilimenti previsti da una legge del 1917, nata per la pace pur in tempi di guerra, voluta da Giuseppe De Nava, al tempo ministro dell'industria e dell'agricoltura, doveva sorgere ovviamente in prossimità del porto. Questo, però, per la speciale situazione territoriale di Reggio, si trovava a ridosso ciel confine. E un altro comune significava un'altra sensibilità, un'altra volontà politica, un altro piano regolatore. Una realtà con cui bisognava fare i conti: il che avrebbe comportato un'ulteriore difficoltà.
"Il porto nel quale si stanno eseguendo importantissimi scavi per la costruzione della darsena. secondo un progetto che va studiando e predisponendo il Provveditorato per le opere pubbliche della Calabria, dovrà essere ingrandito con un notevole sviluppo nella rada detta di Pentimele, al confine del contermine comune di Gallico. La :ona industria/e (. .) non potrà sorgere che in prossimità del porto e svilupparsi lungo la costa, in\'ildendo il territorio dei Comuni contermini (... ) per la definitirn utilizzazione e lal'orazione delle ricche materie prime di questa regione, le essenze di agrumi e del bergamotto, delle ulive e del/a.frutta.
(. . .)Se una zona industria/e de1·e essere qui istituita e creata, giusto le vigenti disposizioni del Testo Unico delle leggi emanate in conseguenza del terremoto, /'ubicazione,/' estensione di essa, la più utile e anche la più economica costruzione della stessa è appunto oggi in dipendenza ed in vista di un ampliamento territoriale di questo capoluogo.
La stessa ricostruzione delle sta:io11i ferroviarie potrà essere attuata, in senso più utile, come 11bica:io11e anche in rclmio11e agli attuali scali marirtimi esistenti in vista di nuol'i orientame11t( di n1101·e possibilità commerciali e industriali che/' ampliamento territoriale suggerisce"'. (21)
Il prefetto confermò il duro giudizio cli Genoese Zerbi sul valore delle classi dirigenti dei comuni contermini ed ammise che questi avevano tutto l'interesse ad "aprire e confondere" nel territorio di Reggio la rete dei loro "piccoli ed insufficienti" territori, allo scopo di fruire dci benefici di un'unione che li sollevasse dalle spese del personale e dei costosi "sebbene rudimentali" servizi pubblici, alle quali non potevano far fronte. "Essi, infatti, non hanno potuto finora provvedere all'esecuzione delle opere pubbliche più indispensabili, come piani regolatori, scuole, edifici comunali, poichè nessuna risorsa sono riusciti a trovare nelle proprie finanze". (22)
Il prefetto avallò lo schematismo di Genoesc Zerbi, secondo cui la riproposizione, su questa sponda dello Strclto, di una città che si estendesse, come Messina, su un litorale di oltre 30 km., avrebbe da sola costituito un potente fattore di addensamento di popolazione e determinato automaticamente una diffusa attività produttrice di reddito e di ricchezza. "Se il Governo Nazionale Fascista ha reso possibile un'intensa costosissima opera di ricostruzione di case con le sue provvidenze in tutti questi piccoli centri, è pure necessario(. . .) che sia assicurato loro tm avviamento a nuovi orientamenti commerciali e industriali, quali 11011 potrà mai vedere, concepire e sllldiare isolatamente ciascuno di essi". (23)
Il 12 febbraio ciel 1927, il podestà "assistito" dal segretario generale, dott. Bruno Giordano, adottò la deliberazione n. 2839 con cui avanzò al governo la richiesta di ampliamento della circoscrizione territoriale del capoluogo. (24)
La delibera suscitò la reazione cli tutti i comuni contennini. Ma solo due di essi si opposero c;on atti pubblici e manifestazioni cli protesta: Villa San Giovanni e Pellaro. Agostino Lanzillo, deputato, sansepolcrista, antico arnie.o di Mussolini, che aveva affiancato come redattore quando egli era direttore del! "'A vanti!" e poi aveva seguito sulla via dell'interventismo, della fondazione ciel "Popolo d'Italia'', della guena combattuta al fronte con valore riconosciuto, era avverso alla proposta cli massimo ampliamento che prevedeva anche l'aggregazione del comune di Villa. Si impegnò, però, su una linea di trattativa anziché su quella della contrapposizione polemica che, tra i suoi amici villesi, riscontrava maggiori consensi. Si mosse in sintonia con Genoese Zerbi, il quale, per carattere e senso della concretezza, preferiva mettere il potere centrale di fronte ad una situazione di concordia e di slancio unitario e poderoso.
Genoese Zerbi, a questo buon fine, si prodigò nel promuovere incontri tra i due gruppi. Ricevette ostinati dinieghi. Ma, in aprile, quando anivarono da Roma i primi segnali sul!' accoglimento della proposta, furono i villesi a rivolgersi a Lanzillo perchè facesse un ulteriore passo sul podestà reggino per un accordo che, spianando la strada alla sua aspirazione, risparmiasse I' autonomia del loro comune. Lanzillo inviò a Genoese Zerbi, nella sua qualità cli federale non di podestà, un telegramma in cui si dichiarava disponibile a fungere da mediatore tra i due opposti interessi. "Numerosi amici Villa protestano.fusione. Crederei opportuno convegno essi presenti con te e Prefetto esame obiettivo questione. Co11se11rendo, sono a Reggio lunedl. Saluti Lanzi/lo". (25)
Il deputato reggino condizionava la sua mediazione alla disponibilità di Genoese Zerbi a rimettere in discussione la "questione". La risposta del feclerale podestà non lasciò però adito a dubbi. A Genoese Zerbi non mancava il pregio della chiarezza e, in questo caso, il senso chirurgico della critica severa. Abilmente separò, nella risposta a Lanzillo, gli "amici villesi" in nome dei quali quegli si era apertamente esposto, dal ceto dirigente locale. Questa operazione gli venne facile in quanto il deputato reggino, per non compromettere le gerarchie del fascio villese, aveva preferito far riferimento a non meglio qualificati "amici" più che a ben identificabili "camerati".
Genocsc /:erbi, pur m;111ifcstando comprensione verso i primi in quanto accomunalo loro da "identità animo calabrese", non si volle perdere l'occasione di liquidar,. politicamente quei "taluni" che, pur responsabili de!J'3bbandono e dcll'a1rctrateaa dcl comune, tentavano ancora con i mezzi dei tempi cancellati di mantenere un potere personale. Non era più tempo di mediazioni. Il convegno proposto da Lanzillo era stato altre volte da liii stesso "offerto" e sempre rifiutato: riprova della strumentalizzazione di un sentimento popolare "a fini personali". Liberarsene era, dunque, un vantaggio per tutti i villesi, i quali avrebbero toccato con mano, "se il Duce approverà il progetto", i sentimenti di solidarietà e di progresso sociale che lo avevano ispirato nel momento in cui lo aveva concepito.
"Sentimenti voti Villa sono da me ben compresi avendo identità animo calabrese. Però disapprovo e condanno le proteste di taluni, responsabili del mancato progresso di Villa, che vogliono oggi per loro fini personali, inscenare popolari disapprovazioni con uomini e sistemi vecchio regime. Non condivido opportunità convegno che fu njìurato quando in tempo fu da me offerto. Se Duce approverà progetto, Villa e Communi tutti riscontreranno nella opera mia i sentimenti che mi guidarono nel compilarlo. Martedz' sarò Roma tua disposizione. Ammiraglio Genoese Zerbi". (26)
Tre mesi dopo, il 7 luglio, Vittorio Emanuele III emanò dalla sua residenza estiva di San Rossore il Regio Decreto n. 1195. L'aggregazione massima era sancita in due semplici articoli.Si demandava al prefetto di Reggio il compito di determinare le condizioni in cui si sarebbe dovuta attuare "tale unione", dopo aver sentito però la Giunta provinciale amministrativa. (27)
Mussolini inviò al dottor Benigni un telegramma, che a Reggio, a buon ragione, si definì "storico" e si propose venisse fuso nel bronzo e affisso nella Galleria di Palazzo San Giorgio accanto ai marmi che ricordavano le tappe più significative della storia civile della città.
Il telegramma di Mussolini è un testo di grande importanza politica. Esso la dice lunga sulla coscienza che il Duce aveva ciel parlicolare tipo di conflittualità esistente tra il comune di Reggio e il governo fascista. La città tenemotata e patriottica mai avrebbe taciuto il suo dissenso nei confronti del governo e del suo capo che avevano saputo investire miliardi nelle terre occupate dagli austriaci per metterle al passo con quelle del Nord Italia, mentre avevano lesinato e ritardato provvidenze previste da leggi concepite per la sua pronta rinascita. "Cittadini di Reggio - scrisse Mussolini - devono vedere nell'accoglimento della richiesta un altro segno della simpatia del Governo Fascista chè vuole risorta anche dal lato calabro dello Stretto una grande, bella, prosperosa città". (28)
Così anche non si preoccupò di nascondere la riluttanza dei podestà di Villa e di Pellaro e diede esplicita consegna al prefetto perchè curasse che la sua decisio ne venisse dagli stessi accolta "con assoluta disciplina". Come non si fece limitare da una malintesa carità di partito nel richiamare le gerarchie fasciste dei comuni contermini, responsabili cli un comportamento ambiguo che aveva impedito alla Federazione provinciale di orientare un dibattito, che si prevedeva acceso, per evitare che scadesse nella protesta di piazza e segnalasse all'antifascismo il perdura re, nella nuova Italia, del distacco e della sfiducia che avevano caratterizzato i rapporti tra le popolazioni meridionali e i governi dell'età giolittiana.
Al podestà di Reggio, cui gravava la responsabilità del!' organizzazione amministrativa su basi tenitoriali inedite, raccomandò cli non fare l'errore di considerare prioritari esclusivamente i problemi del centro urbano. Sarebbe come tradire le aspettative suscitate nei centri aggregati e trasformare il comune vantaggio, obbiettivo della fusione, in un 'azione di rapina. "Occorre, però, che il Capoluogo prenda seriamente in considerazione bisogni comuni aggregati".
Reggio accolse il Decreto con lo spirito auspicato da Mussolini, cioè come un "altro" segno della simpatia del governo verso la città che il fascismo, per bocca del suo capo, voleva fosse "grande, bella, prosperosa". Tre attributi, questi, che esercitarono una forte suggestione sull'animo popolare e indicarono la meta futura ai dirigenti locali.
La stampa reggina si lasciò trascinare dal tripudio popolare e, per la prima volta, accantonò la prudenza che sempre aveva frenato la sua esultanza di fronte a notizie romane particolarmente attese dalla città. Al di là della prosa gonfia e immaginifica, che la gioia del momento rendevaerò sincera, Genoese Zerbi assunse per la stampa la fisionomia più complessa del grande capo. Se prima era stato inteso come "u cugnu" per i funzionari corrotti e compromessi con commercianti affamatori del popolo, adesso, dopo questo grande risultato, diventò per tutti l'uomo di pensiero che sa andare al cli là ciel contingente e guardare alla prospettiva con l'occhio dello stratega. Scrisse il "Risveglio": "Noi esultiamo difen1ida gioia per cosi' grande avvenimento.
Fin dalla nomina a podestà di Reggio S. E. l'ammiraglio Genoese Zerbi, noi abbiamo profetizzato che l'illustre capo della città sarebbe stato l'assertore magnifico, il propulsore deciso e incrollabile della nostra rinascita e che mercè la sua opera energica e fattiva avrebbe avviato la nostra Reggio, con energico ' impulso, sulla via della sua maggiore grandezza". (29)
Venne nominato un Comitato per i festeggiamenti cli cui fu presidente onorario l'on. Barbaro e presidente esecutivo Gaetano Marcianò Agostinelli. Si volle che "la festa assumesse un carattere di grandiosità eccezionale". La partecipazione popolare le fece superare ogni immaginazione coreografica. "Questo nostro popolo - scrisse il "Corriere di Calabria e cli Messina" ha ieri vissuto una sua ora di entusiasmo indescrivibile, cli gioia immensa. Si è stretto intorno ai magistrati della città non per fare sola opera cli presenza, ma per acclamare e sentire dalla loro voce i compiti nuovi che vengono, affinché Reggio diventi veramente la città voluta dall'amatissimo Duce". (30) Quell'otto luglio, dichiarato festivo, in una piazza illuminata a giorno e gremitissima, Genoese Zerbi parlò alla sua gente dal balcone cli Palazzo San Giorgio. La cronaca cittadina non lesinò Io spazio. Al suo apparire, si scrisse, il tripudio fu immenso. "Ogni commento guasterebbe . La manifestazione calorosa dura alcuni minuti e gli evviva non hanno fine". (31)
Nel suo esordio, Genoese Zerbi si rivolse non alle camicie nere, secondo la formula di rito, visto che era federale oltre che podestà, ma ai cittadini della grande Reggio, apostrofandoli con l'espressione "fratelli miei". Nessun piglio militare, dunque, nessun atteggiamento scimmiesco. "Cittadini della grande Reggio, fratelli miei"; e a questa folla cli cittadini-fratelli riepilogò le varie tappe del suo disegno, gli uomini che in esso credettero e lo sostennero, le prospettive cli progresso che si aprivano per tutti. E, come a voler fugare ogni residuo timore, annunciò quale sarebbe stato il suo primo atto ufficiale da podestà della nuova città: una notizia che, in quel generale entusiasmo, suscitò sentimenti diversi, di pacificazione, cli concordia, di cavalleresco senso della pari dignità.
"Oggi lo stendardo di San Giorgio sventola da Cannitello a Pellaro. Non è frutto di guerre e di battaglie, ma la necessità di unire in un unico centro le energie migliori per elevarle sublimamente. Giorni or sono, sono stati tolti i veli a due monumenti eretti in memoria dei caduti a Pellaro e a Villa San Giovanni, senza il nostro intervento; domani andremo a deporre i nostri fiori ai piedi di questi monumenti.
La grande Reggio è tracciata, ricordate che dobbiamo farla(. .. .).
Qualunque sia il capo che vi guidi, voi dovrete dare completo il vostro contributo. Se vi furono spiacevoli dissonanze, oggi dobbiamo dimenticarle". (32)
Anche il prefetto mantenne il tono medio di Genoese Zerbi, anche egli più che magnificare l'avvenimento, volle ribadire che il suo vero significato stava nella volontà cli conseguire un comune miglioramento sociale. "Ho aperto i polmoni delta vostra città ad un ampio respiro non per soffocare il respiro degli altri, ma perchè il respiro di tutti fosse più sano.fosse vivificatore di più possenti energie.
La battaglia non ha nè vinti nè vincitori. Sul campo profumato di tutte le essenze nostre siamo tuttijì"atelli, pronti ad ingaggiare in concordia la battaglia, quella che assicuri - come vuole il Duce che anche dal lato calabro risorga una grande, bella, prosperosa città". (33)
Chi sembrava non volersi vestire di panni modesti fu, invece, il Comitato dei festeggiamenti. Il suo programma era faraonico. In un manifesto alla città, dopo aver definito Reggio "onusta di tre volte millenaria e gloriosa Storia", lanciò !'idea di costruire un Arco di Trionfo in onore di Mussolini, "che ha già superato la Politica e anche la Storia ed è assurto al Ministero Sovrumano della Leggenda". (34)
Tra l'altro propose che venissero coniate tre particolari medaglie da offrire con tre pergamene al podestà, al prefetto e all'on. Barbaro, "i tre massimi fattori del grandioso progetto''. Pochi giorni dopo, però, Genocse Zerbi fece recapitare al Comitato una sua lettera, il cui contenuto rese di dominio pubblico attraverso la stampa locale. Nella sua qualità di federale, ordinò che si sospendessero tutte le inizative programmate e vietò ogni spesa per la realizzazione del!' Arco, delle medaglie e delle pergamene. "Tutte spese superflue, che non sono volute dal nostro amato Duce". (35)
Era la fine cli luglio. Il tempo breve degli entusiasmi era passato. Da questo momento, la Grande Reggio farà i conti con sé stessa e faticherà ad aiticolare i nuovi bisogni di una città cli 120.000 abitanti, che aspirava a diventare "bella e prosperosa", con le ristrettezze sempre più condizionanti di un bilancio nazionale alla vigilia della grande crisi.
(1) "Il 30 sett. 1926, assumendo la carica di Capo di questa Amministrazione civica, vi dissi poche parole, non senza studio: le parole le avevo ponderate quando vissi lontano da voi, prima del terremoto e nel periodo bellico". Cfr. "li Corriere di Calabria e Messina". Ricalcando il solco augusteo /'anima di Reggio grida il suo osanna all'Artefice delle sue nuove fortune, 9,10 luglio 1927.
(2) Cfr. Corriere di Calabria e di Messina, XVIII anni dopo, Rievocando, 28, 29 dicembre 1926.
(3) MICHELE BARBARO, Del/' andamento demografico di alcuni nuovi Comuni n111rittimi o Frazioni marittime di Comuni della Calabria, R. C., Morello 1937.
(4) "Ci fa pena dover ricordare che più volte si trattava di presentare i progetti per fognature o acquedotti, che una benefica legge stabiliva a carico dello Stato; e pure tantissimi comuni che non avevano né acqua né fognature, per indolenza cli pubblici amministratori, non hanno ancora potuto avere opere di così grande importanza". "Corriere di Calabria e di Messina", la parola di S. E. Giuriati, 14, 15 febbraio 1927.
(5) MINISTERO BENI CULTURALI E AMBIENTALI -ARCHIVIO DI STATO DI REGGIO CALABRIA, Infelix memoria - memoria tenax 28 dicembre 1908, Gangcmi editore, Roma, 1992.
(6) "Dall'avvento ciel fascismo si sono succeduti al potere 3 ministeri con 5 ministri ai LL.PP. ma la nostra città non vide esaudito il voto solennemente proclamato in Parlamento ( ... ) Credo che non si è buoni italiani se queste cose si tacciono ed in ogni caso I 'on. Mussolini dovrebbe sapere queste cose e I 'on. Barbaro almeno dovrebbe farsi autorevole portavoce". "Corriere di Calabria e di Messina", "Il governo nazionale nulla rralascerà per le regioni devastare. Una lettera del ministro Giuriati ali' avv. Paolino Ma/avendo", 12, 13 gennaio 1927.
(7) FERDINANDO CORDOVA, Momenti di Storia contemporanea calabrese ed altri saggi, Chiaravalle, 1971.
(8) Si prenda il caso cli Peli aro che all'epoca aveva 8750 abitanti cd era ii secondo comune per popolazione ed estensione dopo Gallina. Il suo bilancio era così composto: Entrate: Proventi patrimoniali L. 6.372; Sovrimposta L. 80.000; Dazio L. 62.000; Tasse diverse L. 57 .440; Amrnortamcnto mutui L. 7.772; Uscite: Personale L. 15 l.428; Spazzarnento L. 12.000; Illuminazione L. 13.588; Manutenzione stradale L. 10.000; Contrihuto scolastico L. 9.033; ASRC, Prefettura, Serie I, Affari Speciali Comuni.
(9) MUNICIPIO DI REGGIO CALABRIA, MCMXXVII (V.E.F.), Ampliamento territoriale del Comune, redattori: Amm. Giuseppe Genocsc Zerbi, primo Podestà, Cav. Rag. Angelo Rau, segretario generale dcl Comune, Dtt. Prof. Nicola Putortì, Direttore dcl Musco Civico, Reggio Calabria, Eclitricc Reggina, 1928 p. 35.
(10) ARCHIVIO COMUNALE DI REGGfO CALABRIA, Esercizi finanziari anni 1909-1925.
(11) MINISTERO BENI CULTURALI E AMBIENTALI - ARCHIVIO DI STATO DI REGGIO CALABRIA, !nfelix memoria - memoria tenax, cit., p. 74.
(12) Cfr. TESTO UNICO, 19 agosto 1917, n. 1399.
(13) FRANCESCO BENIGNI, Considerazione del Prefetto della Provincia sul proposto ampliamento territoriale della Città, in Municipio cli Reggio Calabria, cit. p. 41.
(14) ARCHlVIO COMUNALE DI REGGIO CALABRIA, Esercizio Finanziario 1926.
(15) RIPERCUSSIONI SOCIALI, DEMOGRAFICHE, ECONOMICHE E FINANZIARIE DELL'ATTUALE SITUAZIONE TERR!TORJALE, in Municipio di Reggio Calabria, cit., p. 27.
(16) Ibidem, p. 25.
(17) "GIORNALE DI CALABRIA E DI MESSINA", Ricalcando il solco augusteo lanima di Reggio grida il suo osanna .. ., cit.
(18) FRANCESCO BENIGNI, Considerazioni del Prefello della Provincia sul proposto ampliamento territoriale della Città, cit., p. 40.
(19) Ibidem.
(20) Ibidem.
(21) Ibidem, pp. 41-2.
(22) Ibidem, p. 41.
(23) Ibidem, p. 42
(24) ARCHIVIO COMUNALE DI REGGIO CALABRIA, Anno 1927, Deliberazioni, 12 febbraio '27.
(25) "CORRIERE DI CALABRIA E MESSINA", Per la Grande Reggio, 20 aprile 1927.
(26) Ibidem.
(27) "GAZZETTA UFFICIALE DEL REGNO D'ITALIA", anno 68, Roma, martedì, 19 luglio 1927, Anno V, n. 165, Regio Decreto, 7 luglio 1927, n. 1195. I Comuni aggregati sono: Pellaro, Gallina,; Cataforio, Salice, Rosalì, Podargoni, Campo Calabro, Gallico, Catona, Villa San Giovanni, Villa San Giuseppe, Sambatello, Cannitello, Fiumara.
(28)"'CORRIERE DI CALABRIA E MESSINA", seconda edizione, Si concretano i nuovi Destini di Reggio!, 8-9 luglio 1927
(29) "RISVEGLIO CALABRESE" La grande Reggio, 9 !uglio 1927.
(30) "CORRIERE DI CALABRIA E DI MESSINA", Ricalcando il solco augusteo /'anima di Reggio grida il suo osanna .. cit.
(31) Ibidem.
(32) "CORRIERE DI CALABRIA E MESSINA'', In Piazza Italia, 9-10 luglio 1927.
(33) "CORRIERE DI CALABRIA E MESSINA", Parla il Prefetto Comm. Benigni, 9 .. IQ luglio 1927.
(34) ARCHIVIO COMUNALE DI RC, Manifesto del Comitato dci festeggiamenti, 8 luglio 1927, Anno V.
(35) "RISVEGLIO CALABRESE", Cronaca cirtadina, Per la Grande Reggio, 23 luglio 1927; "CORRIERE DI CALABRIA E DI MESSINA'', Per la grande Reggio Una nobile lettera dell'Ammiraglio Genoese Zerbi, 21luglio1927.