La rivolta di Reggio.
di Salvatore Lupo
di Salvatore Lupo
GLI SQUILIBRI TERRITORIALI DELLA RAPPRESENTANZA POLITICA
Alla notevole crescita dei tre capoluoghi provinciali della Calabria nel periodo 1951/71 si associò il fatto che questi diventassero, come gli altri centri urbani della regione, i luoghi di concentrazione dei meccanismi del potere, «la "cernierà' della "nuova dipendenza" della società calabrese» 19 . Alla vigilia della rivolta di Reggio, appariva definitivamente mutata, rispetto ad un ventennio prima, la composizione delle classi dirigenti, con il declino dei ceti rurali a favore di quelli urbani, ai quali nella stragrande maggioranza dei casi appartenevano coloro che gestiscono il flusso di risorse mantenendo nelle loro mani la gestione dei posti di lavoro, la gestione del credito agrario e industriale, la gestione dei fondi di previdenza e pensione, la gestione della spesa pubblica per opere (produttive e non). È da queste fonti, cioè dal tenere in mano i cordoni della spesa pubblica, che lo strato superiore della borghesia di stato trae il suo potere e lo consolida. Essa inoltre trae potere dal saper dominare clientelarmente la base dell'apparato burocratico-amministrativo dello Stato .
Più precisamente, si trattava degli amministratori regionali e delle grandi città con migliaia di dipendenti comunali, dei direttori e consiglieri di amministrazione di vari enti parastatali e assistenziali, di politici e funzionari vari. Essi modellarono il rapporto centro-periferia non soltanto nel verso della dipendenza della seconda dal primo, ma anche del primo dalla seconda, visto che «è stato proprio il Sud a dettare le linee principali di sviluppo del sistema di relazioni tra poteri centrali e periferici» 21 • Per questo, bisogna tenere ben presente, nell'analisi della vicenda calabrese del capoluogo, il ruolo nazionale della classe dirigente burocratico-amministrativa meridionale. Infatti, se è vero che la gestione - a livello locale - dei trasferimenti di reddito riesce a consolidare apparati clientelari locali che garantiscono il controllo sociale delle masse popolari meridionali, è anche vero che proprio questi apparati - diventando, ad esempio, base elettorale - garantiscono ai loro massimi esponenti forza politica e capacità di incidere sulle scelte generali di politica economica e sociale.
In questo contesto, il settore dei lavori pubblici è uno degli osservatori privilegiati per tracciare il quadro del rapporto tra territorio e politica nella distribuzione delle risorse statali verso le diverse aree della Calabria. I dati del provveditorato regionale alle Opere pubbliche sui finanziamenti ordinari nel decennio 1961-71, ad esempio, mostrano un costante e deciso squilibrio tra gli investimenti nelle tre province, con quella reggina decisamente posta in fondo alla graduatoria e Cosenza in testa23 . A quest'ultimo proposito non appare casuale il fatto che per una buona parte del decennio il ministero dei Lavori pubblici fu guidato dal socialista cosentino Giacomo Mancini. La sua influenza e quella degli altri politici cosentini fu determinante, ad esempio, nella scelta dell'itinerario del!' autostrada A3 Salerno-Reggio, per cui fu preferito al trac ciato tirrenico e costiero quello interno e montuoso, più disagiato e dispendioso, che avrebbe però inglobato nel percorso la città di Cosenza, offrendole opportunità di lavoro e prospettive di crescita di sicuro ritorno elettorale.
Sebbene l'argomento attenda ancora un'indagine specifica e approfondita, si può rilevare l'indubbio peso della rappresentanza governativa dei rispettivi territori nella destinazione dei finanziamenti pubblici e nelle politiche di sviluppo. E sotto quel punto di vista la situazione, nel luglio 1970, era del tutto svantaggiosa per Reggio. I politici di Cosenza e di Catanzaro, infatti, potevano contare su ruoli più importanti all'interno della compagine ministeriale in carica in quel momento, guidata dal democristiano Mariano Rumor: in or dine di importanza, i cosentini Riccardo Misasi (Dc), Dario Antoniozzi (Dc) e Francesco Principe (Psi) erano rispettivamente ministro della Pubblica istruzione, sottosegretario all'Agricoltura e sottosegretario alle Partecipazioni statali; il catanzarese Ernesto Pucci (Dc) sottosegretario all'Interno; il reggino Sebastiano Vincelli (Dc) soltanto sottosegretario ai Trasporti.
Su tale sfavore dei rapporti di forza si fondarono le recriminazioni dei reggini, che paventavano una loro emarginazione nel contesto regionale. Nel successivo governo, guidato dal democristiano Emilio Colombo, che ricevette la fiducia in agosto e gestì la Rivolta fino al suo termine, le posizioni elencate furono confermate, ad eccezione di quella di Antoniozzi che divenne sottosegretario alla presidenza del Consiglio. A ciò bisogna aggiungere che qualche mese prima, nell'aprile 1970, Mancini era stato eletto segretario nazionale del Psi, e dunque poteva esercitare una grossa influenza sulle scelte governative in un momento in cui, dopo gli instabili esecutivi monocolore, veniva rilanciato il centro-sinistra.
L’attribuzione di incarichi ministeriali è legata certo a molteplici e complessi fattori (vicende di carattere collettivo e individuale, svoltesi su tempi lunghi e più ravvicinati, ecc.), che qui non si approfondiscono. Tuttavia è sicuro il legame con i risultati delle elezioni politiche, in questo caso quelle del maggio 1968. A dire il vero, sotto il profilo territoriale della rappresentanza, durante la v legislatura repubblicana, Reggio poteva contare sulla maggioranza dei parlamentari calabresi, 14 (11 deputati e 3 senatori) su 3825 • Essi tuttavia risultavano minoritari nei maggiori partiti di governo, Dc (solo 3 deputati reggini contro i 4 deputati e i 2 senatori cosentini e i 4 deputati e 3 senatori catanzaresi) e nel Psi (1 reggino contro i 3 deputati e i 2 senatori cosentini), e soprattutto al loro interno in termini di voti totali di preferenza raccolti alla Camera (circa 157mila per i reggini contro i quasi 350 mila per i cosentini e 270 mila per i catanzaresi) .
Quest'ultimo appare il dato più importante e direttamente collegato alla rappresentanza governativa, visto che proprio Antoniozzi, Misasi, Mancini e Pucci erano stati gli unici a superare le 100 mila preferenze su scala regionale. Ciò attesta un consenso raccolto ben oltre le loro città e province di appartenenza o di riferimento elettorale. Non a caso il contributo reggino all'elezione dei politici degli altri territori fu un'altra delle recriminazioni ricorrenti durante la disputa per il capoluogo. Il meccanismo del voto di preferenza alla Camera, definito da Mauro Calise per i governanti italiani «motore elettorale della loro ascesa», fu lo strumento che tutt'al più rese stabile e inamovibile uno squilibrio territoriale nella rappresentanza parlamentare che aveva radici profonde, risalenti alla elezioni politiche del 1948, dopo le quali il prefetto di Reggio si era mostrato preoccupato per il fatto che la Provincia [. . .] è venuta a trovarsi in una imprevista situazione di inferiorità rispetto alle due consorelle, Catanzaro e Cosenza, avendo avuto un solo senatore ed un numero di deputati inferiori a quello delle altre due province. Tale situazione potrebbe avere, in avvenire, ripercussioni non indifferenti nel campo politico e delle rivendica zioni regionali.
Durante la prima legislatura repubblicana i reggini presenti alla Camera furono solo 7, contro i 9 catanzaresi e gli 8 cosentini . Al Senato la situazione era anche peggiore (1 reggino, 4 catanzaresi e 5 cosentini), riequilibrata solo parzialmente dai senatori di diritto per varie ragioni (appartenenza al par lamento disciolto dal fascismo, persecuzione durante il regime mussoliniano, ecc.): 3 di Reggio, 1 di Catanzaro, 2 di Cosenza. Anche in questo caso, come nella v legislatura, gli squilibri erano confermati nell'ambito delle forze governative, praticamente solo la Dc. Tali tendenze della rappresentanza parlamentare si mantennero piuttosto simili nelle successive legislature repubblicane.
Gli squilibri più evidenti, però, continuarono ad emergere sul piano della attribuzione di incarichi ministeriali, che, se osservata nel periodo 1943-45 e in quello costituente, può suggerire spiegazioni più generali sulle origini dello squilibrio territoriale della rappresentanza politica in Calabria. È nelle fasi di guerra e di formazione dello stato democratico che emerse, infatti, una grandissima differenza tra Cosenza, che espresse il maggior numero di esponenti (1 comunista, 2 democristiani, 1 socialista), con incarichi più rilevanti e mantenuti per maggior tempo, rispetto a Catanzaro (2 democristiani, 1 liberale) e Reggio (1 socialista) . Ciò era dovuto evidentemente a ragioni di ruolo e collocazione all'interno dei rispettivi partiti che qui non è possibile indagare.
In ogni modo, tale squilibrio si prolungò, con alti e bassi, durante le pri me quattro legislature repubblicane, in cui i cosentini dominarono la vita po litica regionale in epoca centrista con Gennaro Cassiani e Antoniozzi, e nella fase del centro-sinistra con Mancini, Misasi e Principe. Una parte importante la svolsero anche i catanzaresi, in ordine di ingresso nella sfera ministeriale, Vi to Galati, Rocco Salomone, Vittorio Pugliese, Tommaso Spasari ed Ernesto Pucci; decisamente marginale quella dei reggini, nello stesso ordine, Fillippo Murdaca, Antonio Capua e Sebastiano Vincelli . Nella medesima sequenza, non casualmente, si colloca la frequenza e la durata di destinazione a ruoli chiave, in senso personalistico e clientelare, quali i settori delle Poste, dell'Agricoltura, dei Lavori pubblici e della Pubblica istruzione, dai quali fu facile - trami te assunzioni nel pubblico impiego o la destinazione di investimenti - mante nere il consenso e irradiarlo su base regionale.
Una spiegazione parziale dell'origine e del mantenimento dello squilibrio territoriale della rappresentanza parlamentare e governativa dei tre capoluoghi calabresi può essere considerata il maggiore consenso iniziale e la fedeltà man tenuta al partito di maggioranza relativa. Alle elezioni politiche del 1948, in fatti, la Dc conseguì le percentuali di gran lunga più alte della regione (48,8%) nella città di Cosenza (5 5, 4% contro il 45, 4o/o di Reggio e il 46, 9 o/o di Catanzaro) e un po' inferiori nella relativa provincia (50, 2% contro 47, 7% e 48,3°/o). Un tratto peculiare del voto urbano fu che le città di Reggio e di Catanzaro votarono in maggior misura a sinistra, per il Fronte popolare (Reggio con il 30%, poco inferiore alla media nazionale e superiore al 22 % di Catanzaro e al 2 5 % di Cosenza), e a destra, per Blocco nazionale e Msi (18,4 % complessivo a Reggio, 21, 9 °/o a Catanzaro, soloI3 % a Cosenza). Guardando alla distribuzione dei seggi delle successive legislature, questa tendenza alla radicalizzazione si mantenne più costante a Reggio che a Catanzaro.
Nel complesso, tuttavia, il voto alle consultazioni politiche del 1968 di mostra che la realtà elettorale delle tre città calabresi si era andata uniformando sia tra di esse che rispetto alla regione e al Paese. Di pochi decimali era la differenza per la Dc (38,3% a Reggio, 38 ,7% a Catanzaro e 38% a Cosenza, rispetto al 41,9% della Calabria e al 39,1% dell'Italia); un po' più accentuata ma non eccessivamente squilibrata la differenza per il Pci, il Psu e l'Msi.
L’andamento piuttosto regolare nel senso di un rafforzamento delle forze governative, sempre della Dc e in seguito del Psi, con un voto al Pci inferiore e all'Msi superiore alle medie regionali e nazionali sembra indicare una sostanziale similitudine anche nel voto municipale. Tutti i sindaci di Reggio, Catanzaro e Cosenza furono democristiani dal 1946 in poi. In tutti e tre i casi, ne gli anni Sessanta era stata inaugurata con maggiori o minori difficoltà la for mula di centro-sinistra.
Le prime elezioni regionali del 6 giugno 1970 avevano confermato che non vi erano grandi differenze ideologiche tra le tre città calabresi. Semmai differenze di voti dovute all'influenza di questo o quel singolo personaggio politico. Cosicché nella città di Reggio poteva risultare, nel raffronto tra i capo luoghi, la più alta percentuale alla Dc (40, 7% contro il 33, 7% di Catanzaro e il 39,6% di Cosenza), quella media al Psi (15,1% contro il 14,3% e il 18,2%) e quelle più basse non solo al Pci (17,8% contro 19,9% e 19,2%) ma anche all'Msi (8,7% contro 9,1% e 9,4°/o). Peraltro la distribuzione dei seggi su base territoriale non risultava poi indicativa di un particolare squilibrio, se non dovuto alla maggiore ampiezza demografica delle province di Catanzaro e di Cosenza. Ma ciò che contava era il livello nazionale, il solo capace in quel momento di distribuire finanziamenti e opportunità di crescita e di sviluppo.